“Coltivare la bellezza”, questo il titolo del Convegno per la Rete Internazionale dell’Inclusione che si è tenuto il 28 ed il 29 marzo 2025 presso l’aula magna dell’Asl, nel complesso dell’ex
manicomio civile “La Maddalena” di Aversa. Organizzato da Nuova Cucina Organizzata, Radio 32 – La Radio che Ascolta, Acción Colectiva. ASL di Caserta e Dipartimento di Architettura dell’Università “Federico II”, il Convegno ha inteso promuovere una Rete Internazionale di scambio e conoscenza di pratiche di inclusione sociale accompagnandole con la capacità di poter sviluppare un pensiero condiviso tra le varie realtà e territori coinvolti anche per replicare esperienze e forme di organizzazione e di inclusione oltre che di intrapresa sociale. Tanti relatori, tanti ospiti, che sono stati accolti nell’intervallo nella fattoria “Fiori di Zucca” e che hanno avuto anche la possibilità di visitare cosa resta dell’ex Manicomio di Aversa. Soprattutto tante riflessioni e tanti tavoli di confronti per progettare un futuro diverso. Riportiamo il comunicato degli organizzatori che sintetizza le ragioni ed i risultati dell’incontro.


“All’ex manicomio “La Maddalena” di Aversa, tra stanze che un tempo furono luogo di reclusione e oggi si aprono a nuovi immaginari, si è svolto un incontro che ha avuto il coraggio di squarciare il velo dell’abitudine e della frammentazione, per provare a difendere l’allegria e la possibilità concreta di un altro mondo possibile. Fin dai saluti iniziali, si è respirata un’aria densa di impegno, spirito vitale, ma anche di tensioni e visioni diverse: un vero allenamento alla complessità, in cui la parola “coprogrammazione” non è stata uno slogan, ma il filo rosso per pensare processi trasformativi dal basso, in una costante negoziazione tra soggetti diversi – istituzioni, terzo settore, attivismo, esperienze di vita. I tavoli di confronto sono stati giardini collettivi in cui ognuno ha portato semi di girasole, gardenie, margherite, e un po’ del proprio desiderio di possesso senza
possedere: habitat, lavoro, politiche pubbliche, futuro.

Ognuno di questi temi è stato esplorato con lo sguardo dell’architetto che mappa l’arrivo del sole e le ombre del territorio, ma anche con l’animo dell’innamorato che ancora crede nel potere della pratica collettiva. Sono state ascoltate voci dall’Uruguay, dalla Spagna, dal Brasile, dall’Argentina: non una passerella di internazionalismi, ma un autentico internazionalismo fatto di esperienze radicate, resistenti, spesso piccole fiammelle, ma capaci di globalizzare la speranza. Non sono mancate le critiche. Qualcuno ha ricordato che “abbiamo sempre fatto così” è la tomba dell’innovazione. Altri hanno gridato che “noi non possiamo fare l’ambulanza del capitalismo”, correndo dietro ai bisogni senza interrogare le cause dell’ingiustizia. Altri ancora hanno evocato il rischio della dissociazione tra gli enunciati e le pratiche. Ma in questo inno al conflitto, nessuno si è tirato indietro. Ci si è chiesti come progettare futuro, come trasformare esperienze a macchia di leopardo in reti generative. Si è detto
che “non è facile”, che si sono perse tante battaglie, che il verticismo e la delega svuotano la
democrazia. Eppure, nella manutenzione, nella vigilanza, nell’uscire dai ruoli, si è visto un varco.
Una delle frasi che più ha risuonato è stata: “L’unica battaglia che ho perso è quella che ho avuto paura di combattere”. Ed è forse questo lo spirito più profondo di questi giorni: non avere paura del sogno, della rabbia, della politica come terreno di confronto e costruzione. Perché “odio l’indifferenza” non è solo una dichiarazione etica, ma una scelta quotidiana di stare accanto agli oppressi, di mettere la persona al centro, di riconoscere i bisogni come diritti e i diritti come possibilità di fioritura. In fondo, non si trattava solo di un convegno, ma di un esercizio di innamoramento collettivo. E proprio come nell’amore, c’è bisogno di cura, fatica, e anche divertimento”.
di Iole De Chiara
Nelle foto: momenti del convegno ed il programma dell’evento