Il procedimento penale contro I.C. si è concluso, portando alla luce un caso di inganno ai danni di una donna di ottant’anni. L’imputato, assistito dall’avvocato Gianfranco Carbone, aveva assunto l’identità del responsabile della filiale bancaria in cui operava il figlio della vittima. Con questa falsa presentazione, ha intimato la donna, sostenendo che, in mancanza del denaro richiesto, il figlio sarebbe stato arrestato.
Sfruttando la vulnerabilità e la preoccupazione della signora per il benessere del figlio, I.C. è riuscito a ottenere dalla vittima 25.000 euro in contanti, un orologio Zenith e una serie di gioielli, tra cui anelli in oro e orecchini. Per rendere l’inganno ancora più convincente, un suo complice ha replicato la voce del figlio, aumentando così la credibilità della truffa.
Il caso è stato esaminato con rito abbreviato dal Gup Todisco presso il tribunale di Aversa Napoli Nord. Inizialmente, la Procura aveva inquadrato il reato come estorsione pluriaggravata, avanzando la richiesta di otto anni di reclusione e di una multa pari a 8.000 euro. Tuttavia, il giudice ha accolto la tesi difensiva, inquadrando il fatto come una truffa aggravata di natura “vessatoria”.
Alla fine, il truffatore è stato condannato ad appena quattro anni di detenzione e al pagamento una sanzione pecuniaria di soli 1.200 euro. La sentenza evidenzia la scarsa attenzione della magistratura nel considerare non solo l’aspetto economico del reato, ma anche l’impatto psicologico e la particolare vulnerabilità della vittima coinvolta.
di Enrico GIOIELLO