In esclusiva pubblichiamo il testo dell’omelia tenuta nella Cattedrale di Aversa dal nostro Vescovo, mons. Angelo Spinillo, in occasione della celebrazione di apertura del Giubileo 2025, domenica 29 dicembre 2024.
Eccellenze e tutti voi Presbiteri, confratelli carissimi, con i fratelli Diaconi, e i nostri Seminaristi, i Religiosi, le Religiose, e tutto il nostro popolo di Dio. Saluto cordialmente le Autorità civili presenti, particolarmente il Signor Sindaco di Aversa. È bello essere qui riuniti in gioiosa fraternità sentendo nell’anima di essere uniti a tutte le comunità ecclesiali del mondo che anche in questa giornata aprono l’anno del giubileo. È la bellezza dell’essere insieme la Chiesa del Signore. Permettetemi di dire a tutti, e a ciascuno di voi qui presenti il grazie di tutta la Chiesa. Grazie per l’intensa testimonianza di fede e di speranza, di fraterna carità che ciascuno, con la propria presenza e partecipazione a questa santa celebrazione, offre a tutti gli altri fratelli e sorelle.
La gioia di abitare nella casa del Signore
Siamo qui riuniti nella gioia della fraternità. La nostra fraternità nasce dalla grazia dell’unica vocazione alla vita, all’essere figli dell’unico Padre, fratelli in Gesù, il Figlio, che ci ha redenti dal peccato, e forti della presenza dello Spirito Santo che anima il nostro vivere nella carità.
La gioiosa condivisione della grazia di Dio nostro Padre, che particolarmente oggi il Giubileo ci raccoglie a vivere nella nostra Cattedrale, nella nostra Chiesa, che è la nostra casa comune, fa risuonare nell’anima di ciascuno di noi le parole del salmo 84, che sono state cantate ed hanno accompagnato la meditazione della parola di Dio dopo la prima lettura: “Beato chi abita nella tua casa, Signore”. E siamo come rapiti in contemplazione della grazia che il Signore ci dona chiamandoci a vivere con Lui, nella sua casa: “L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore… senza fine canta le tue lodi” (Sal 84, 2.5). Anche l’Apostolo Giovanni ci ha invitato a “vedere”, ovvero a riconoscere “quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente” (1Gv 3,1). In quel “per essere chiamati” che suona come un “fino a qual punto”, sentiamo l’immensità del dono di Dio, quanto è infinitamente grande l’amore di Dio per noi che ci chiama ad essere realmente suoi figli.
Oltre i segni propri di un giubileo, elencati sapientemente dal Santo Padre Francesco nella Bolla di indizione (l’impegno per la pace nel mondo, apertura e sostegno alla vita nascente, vicinanza ai detenuti, ai migranti e ai poveri, cura per gli anziani e gli ammalati, incoraggiamento ai giovani, riduzione del debito internazionale, etc.) mi piacerebbe che, come frutto di questo tempo santo, potesse essere da noi sperimentata e vissuta un’ulteriore grazia. Auspico che davvero possa crescere la nostra consapevolezza della presenza di Dio, del nostro essere con Gesù, e per Lui ed in Lui, figli dell’unico Padre; che non viviamo soltanto come sue creature, ma come figli e che, con San Paolo, possiamo dire ad ogni uomo e donna del mondo, ad ogni fratello e sorella la speranza di essere “collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete saldi” (1Cor 1,24).
Il giubileo ci aiuti a maturare un vivo atteggiamento di attenzione ad ogni fratello e ad ogni sorella, il desiderio di sostenere sempre la realizzazione della loro vocazione; il giubileo ci aiuti a non perderci nei giudizi che restano legati alle diversità ed alle situazioni in cui quotidianamente ogni uomo ed ogni donna sembrano dibattersi con fatica e, spesso, anche smarrirsi, ma ci aiuti a diventare capaci di camminare insieme, di accompagnare, di sostenere il cammino, la speranza di ciascuno.
Con gioia allora ci sembra di poter riascoltare anche il salmo 131: “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!”. E con le due significative immagini che ci sono presentate nei due versetti seguenti: “È come olio prezioso versato sul capo… È come la rugiada dell’Ermon…” (Sal 131, 1-3). Sono immagini che evocano il profumo della bontà, la freschezza del dono umile e generoso di bene, che rende feconda ogni speranza di vita, ogni germoglio di vita dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Riprendo ancora dalla Bolla di indizione di questo giubileo un’espressione di Papa Francesco che ci invita a “… testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che nello Spirito di Gesù, ciò può diventare, per chi lo riceve, un seme fecondo di speranza”. (n. 18).
Il pellegrinaggio: con Cristo oltre il limite delle situazioni
Abbiamo iniziato la celebrazione di apertura di questo anno giubilare facendo insieme un breve cammino, un momento intenso di pellegrinaggio. Abbiamo vissuto, così la splendida immagine del nostro essere Chiesa: popolo di Dio in cammino sulle strade del mondo, come pellegrini di speranza nella storia dell’umanità di questo tempo. Abbiamo seguito l’immagine del Cristo crocifisso, di Lui che annunziamo risorto e riconosciamo “via, verità e vita” (Gv 14,6) per tutta l’umanità. È Lui la nostra speranza, il testimone fedele della verità dell’amore di Dio. In Lui riconosciamo la nostra vocazione.
Il pellegrinaggio è il segno del nostro vivere, anzi, di più, è il senso, la cifra interpretativa, il valore autentico della nostra esistenza. Il pellegrinaggio esprime il nostro essere sempre alla ricerca della verità, anzi, di più, esprime il nostro essere sempre disponibili alla vocazione, a rispondere alla parola di Dio che continuamente ci chiama ad andare oltre i limiti delle situazioni in cui ci sembra che la vita soffochi, a guardare oltre i confini delle posizioni di potere o di prestigio in cui naufraga la speranza di una vita vera.
La parola di Dio che ci è stata proclamata in questa domenica, dedicata alla Santa Famiglia di Nazareth, ci ha narrato di due famiglie che hanno vissuto un loro pellegrinaggio. Ambedue hanno fatto l’esperienza del pellegrinaggio come celebrazione della presenza di Dio nella loro vita e, in forme diverse, sono state chiamate a vivere la propria consacrazione a Dio, ad unire pienamente la loro volontà con la volontà di Dio. Nel Primo libro di Samuele ci è narrata la fede Elkanà e di Anna che ogni anno vivevano un loro pellegrinaggio e finalmente andarono per rendere grazie a Dio per la nascita e la crescita del figlio Samuele, tanto atteso e accolto come un dono prezioso che dovrà, perciò, essere consacrato al Signore che lo aveva donato a loro. Nel Vangelo secondo Luca, invece, ci è narrato il pellegrinaggio che, Maria e Giuseppe vivevano annualmente, e che, con Gesù dodicenne, fecero a Gerusalemme in occasione della Pasqua.
Forse quello fu il momento in cui per la prima volta, Gesù fece sentire ai santi Sposi la verità del suo essere e della sua missione. Certo, possiamo pensare che soprattutto Maria fosse già consapevole della reale presenza e della missione del suo figlio, tuttavia, credo che il sentirla pronunciare con lucida fermezza da quello che si poteva considerare ancora un ragazzo, sicuramente la turbò nuovamente, come quando aveva udito il saluto dell’Angelo nel momento in cui le fu annunciata la grazia e la volontà di Dio. E Maria, allora, “Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore” (Lc 2,51).
Due famiglie in pellegrinaggio, due famiglie chiamate ad andare oltre quanto avevano immaginato o pensato per il loro vivere quotidiano, due famiglie chiamate ad essere partecipi di un amore più grande, di un amore totalmente offerto, di un amore che ascolta e accompagna, che sostiene e si dedica, un amore pienamente consacrato alla realizzazione della vocazione del figlio. Per questo possiamo dire che il pellegrinaggio della santa Famiglia di Nazareth continuerà anche dopo, sempre, con il Figlio nella piena adesione e nell’annuncio del regno di Dio.
Invochiamo oggi la Santa Famiglia di Nazareth perché anche noi: tutta la nostra Chiesa diocesana, tutti noi consacrati nel ministero sacerdotale, tutti i consacrati e le consacrate, tutte le nostre famiglie, gli sposi, i figli, i giovani, gli anziani possiamo essere sempre pellegrini di speranza, testimoni e annunziatori della grazia e della carità di Dio. Ecco, così il nostro giubileo continuerà sempre fino a quando saremo nella beata eternità.
Il Giubileo nella nostra Chiesa in Aversa
Il Papa ha parlato di una modalità “diffusa” di celebrazioni giubilari, così che: “la forza del perdono di Dio sostenga e accompagni il nostro cammino” (n. 5). Per questo anche in tutte le Chiese locali, anche nella nostra Diocesi ci saranno luoghi che ci permetteranno di vivere il pellegrinaggio e accogliere l’indulgenza conseguente al perdono dei peccati. Secondo le indicazioni del Santo Padre possiamo indicare come chiese giubilari nella nostra Diocesi di Aversa: la chiesa Cattedrale dedicata a San Paolo; le due chiese Basiliche minori: San Sossio in Frattamaggiore e San Tammaro in Grumo Nevano; i Santuari mariani: Maria SS. di Campiglione in Caivano, Maria SS. Immacolata in Frattamaggiore, SS. Annunziata in Giugliano, Mia Madonna mia salvezza in San Cipriano di Aversa;in occasioni di particolari celebrazioni, poi, anche la chiesa del Monastero benedettino di San Biagio, e la cappella del Carcere. Saranno date le indicazioni necessarie.
Segno del Giubileo: il sacramento della penitenza, riconciliazione con Dio e con i fratelli
Ciò che, però, mi sta molto a cuore è che noi viviamo il pellegrinaggio, ogni pellegrinaggio e tutti gli altri segni della celebrazione del giubileo con lo spirito di penitenza proprio dei credenti. Dobbiamo riconoscere che non siamo facilmente portati a riconoscere i nostri peccati e a vivere la penitenza come un sacramento, cioè come una celebrazione della fiducia e della speranza nella grazia del Signore. Più ordinariamente siamo abituati a pensare la confessione come l’esercizio di un dovere morale, piuttosto che il vivere un intenso momento di riconciliazione con Dio e con i fratelli. Il pensare di liberarci da qualche peso di coscienza potrà anche darci una forma di soddisfazione, un po’ egoistica, ma la seconda, ovvero il desiderio di riconciliazione ci aprirà alla gioia del rinnovarsi di un rapporto in nuove possibilità di dialogo e di comunione.
Credo che la conversione del nostro vivere la fede sia essenziale nel tempo che stiamo vivendo. L’autoreferenzialità, la presunzione della propria soggettività e la prepotenza che ne deriva, troppo spesso caratterizzano l’essere e l’agire dell’umanità di questo nostro tempo, di noi che, perciò, non sembriamo aver bisogno di perdono o di riconciliazione. Ma questo è segno di grande debolezza della nostra fede.
La fede, che contempla la grandezza della misericordia di Dio, desidera il suo perdono. Il credente si riconosce sempre “non degno” che il Signore “entri” nella sua casa ma lo desidera e lo cerca; gli basta una sua parola, per essere salvato.
Non dimentichiamo, e lo ricorda anche il Santo Padre, che nell’anno 1300 la ripresa della celebrazione del Giubileo fu preceduta e preparata da altri intensi momenti che nella storia del popolo di Dio di quel tempo esprimevano un profondo senso di fede e una ricerca intensa, quasi un bisogno di perdono. Confesso che ho la sensazione, come dicevo, che noi, oggi, cristiani di questo tempo così segnato dall’individualismo, se anche qualche volta diciamo di dover perdonare, difficilmente sappiamo riconoscere e chiedere perdono. “La riconciliazione, dice ancora il Papa, rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno” (n. 23).
Sì, perché chiedere perdono significa riconoscere la verità che è l’altro con il quale mi trovo in relazione e, quindi, poter sviluppare un dialogo di autentica comunione e di vita. Il modello di questo riconoscimento lo troviamo nella parabola del figlio prodigo (cfr. Lc 15). Quel figlio pretese dal padre i soldi che riteneva gli spettassero. In quel momento fu come se avesse davanti soltanto un uomo che doveva dargli dei soldi. Perciò si ritenne libero di andarsene per una sua strada. Quando, dopo aver perso tutto, rientrò in sé stesso, riconobbe quell’uomo nella verità del suo essere padre, colui che lo aveva chiamato alla vita e sempre lo amava nella verità del suo essere figlio.
Due presenze nel nostro cammino giubilare
Infine vorrei ricordare che in questa nostra cattedrale, ogni volta che verremo in pellegrinaggio potremo incontrare due intense testimonianze che ci permetteranno di vivere il giubileo:
- la memoria dell’Apostolo Paolo, dell’intenso pellegrinaggio che fu la sua vita, efficacemente raffigurata nelle pitture che ornano la volta del presbiterio. La riflessione sulla vita e l’insegnamento di San Paolo, testimoniano il suo pellegrinare per annunciare e la sua fede e la sua speranza nel Cristo Signore, “speranza che non delude” (Rm 5,5).
- E poi il piccolo edificio che riproduce la casa di Loreto, o meglio potremmo dire il particolare segno che ci richiama la casa di Maria in Nazareth. Nella realizzazione di questo piccolo edificio, nel 1630, si è voluto rendere presente alle nostre anime la verità dell’incarnazione del Figlio di Dio, la nostra povera terra nella quale “Il Verbo si è fatto carne”, la verità della presenza di Dio nella nostra storia, del suo amore totalmente donato a noi attraverso Maria, per la disponibilità totale di Colei che “… umile serva del Signore, … tutte le generazioni chiameranno beata” (cfr. Lc 1, 48).
A Maria SS., alla sua preghiera per noi, a lei che il Papa definisce “la più alta” testimone della speranza affidiamo il nostro giubileo e il nostro pellegrinare, seguendo Gesù, il Cristo, incontro al regno di Dio.
mons. Angelo Spinillo, Vescovo di Aversa
Nella foto il Vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo, prima di entrare in cattedrale nel giorno di apertura del Giubileo