Nel cuore di un’indagine che ha scosso il Cilento per oltre un decennio, si è consumata una maratona investigativa di undici ore. Al centro dell’attenzione, Fabio Cagnazzo, colonnello dei carabinieri proveniente da Aversa, arrestato e chiamato a rispondere di accuse che potrebbero riscrivere la storia dell’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica.
La storia di Cagnazzo si intreccia con una dinastia di servitori dello Stato: dal nonno maresciallo al padre generale, fino ai fratelli gemelli, tutti alti ufficiali. La sua carriera, costruita tra i corridoi della prestigiosa Nunziatella e dell’Accademia di Modena, è costellata di successi investigativi, con ben 180 latitanti assicurati alla giustizia durante il suo comando al nucleo operativo di Castello di Cisterna.
Ma è il 2010 l’anno che segna una svolta drammatica. Un trasferimento improvviso a Foggia solleva grossi interrogativi, nonostante 26 pubblici ministeri della Dda di Napoli si schierino pubblicamente in sua difesa, esaltandone le capacità investigative e la lealtà istituzionale. Proprio in quell’anno, il 5 settembre, Angelo Vassallo viene assassinato, e le ombre iniziano ad addensarsi.
La Procura di Salerno ipotizza un ruolo cruciale di Cagnazzo in un presunto piano di depistaggio. L’ufficiale, assistito dall’avvocato Ilaria Criscuolo, affronta l’interrogatorio con determinazione, respingendo ogni accusa e rifiutando di trincerarsi nel silenzio. La sua difesa parla di una “spada di Damocle” che ha gravato sulla sua vita per oltre un decennio, minando serenità familiare e carriera.
Dario Vassallo, presidente della fondazione dedicata al fratello ucciso, dipinge uno scenario inquietante di connivenze tra narcos, politici e rappresentanti delle istituzioni, definendo l’indagine attuale solo la punta di un iceberg più profondo. La Fondazione continua la sua battaglia per la verità, vedendo nelle recenti azioni della Procura Antimafia un segnale di speranza.
Antonio Vassallo, figlio del sindaco pescatore, solleva interrogativi sugli errori investigativi del passato, chiedendosi se fossero frutto di incompetenza o di volontà depistante. La sua testimonianza riflette la complessità di un caso che ha minato la fiducia nelle istituzioni.
L’intera vicenda si inserisce in un contesto più ampio che vede il Cilento come teatro di una battaglia tra legalità e interessi criminali, dove la ricerca della verità si scontra con resistenze e ostacoli apparentemente insormontabili. Mentre la comunità attende risposte, l’interrogatorio di undici ore e il successivo arresto del colonnello Cagnazzo potrebbe rappresentare un punto di svolta in questa lunga ricerca di giustizia.
Nel frattempo, sui social network si manifesta solidarietà verso Cagnazzo con l’hashtag #iostoconfabiocagnazzo, dimostrando come questa vicenda continui a dividere l’opinione pubblica, in un territorio dove la ricerca della verità si intreccia con lealtà personali e istituzionali.
Da parte nostra ricordiamo a tutti che fino a sentenza definitiva il Colonnello Cagnazzo, come qualsiasi altro cittadino italiano, è innocente e come tale va considerato. A margine bisogna anche dire che la tanto vituperata magistratura non ha avuto alcuna remora a indagare e a fare arrestare quello che fino a prova contraria è stato una delle spine nel fianco della criminalità organizzata. Il nostro auspicio è che si arrivi il più presto possibile ad una sentenza che possa fugare ogni dubbio in un senso o nell’altro.
di Giacinto Russo Pepe