Torno sull’argomento “Terra dei fuochi” perché un lettore mi ha chiesto un parere sulle motivazioni che si celano dietro la scelta consapevole di migliaia di persone, di partecipare, in un modo o nell’altro, al disastro ambientale e umanitario che ha colpito le provincie di Napoli e Caserta. Rispondo subito, ma prima facciamo bisogna fare un passo indietro. La produzione di rifiuti industriali ebbe inizio con la Rivoluzione Tecnologica nella seconda metà del XVIII secolo. Nel passato, con molta disinvoltura, le aziende risolvevano il problema dello smaltimento utilizzando terreni e corsi d’acqua nelle immediate vicinanze degli stabilimenti. Col tempo, la crescente sensibilità della popolazione ai temi legati alla protezione dell’ambiente e della salute rese difficile, se non impossibile, la pratica dello sversamento “dietro il cortile di casa”.
A questo punto il complesso finanziario-industriale-economico-politico-affaristico si pose il problema di come smaltire milioni di tonnellate di rifiuti industriali prodotti ogni anno dalle aziende italiane. Dapprima fu presa la decisione di utilizzare come “secchi dell’immondizia” gli stati africani, già utilizzati dal cosiddetto “mondo civile”. L’elenco è lungo. Faccio solo un nome per tutti: Somalia. La derelitta nazione del Corno d’Africa era preda da decenni di una guerra civile creata, finanziata e sfruttata dagli occidentali per i loro sporchi traffici. Ilaria Alpi e il suo cameraman furono uccisi perché, probabilmente, filmarono una nave italiana che scaricava bidoni di rifiuti tossici e caricava casse di armi.
La Procura della Repubblica di Asti, specializzata in reati gravi come il traffico internazionale di rifiuti tossici e radioattivi che partivano o transitavano dall’Italia, raccolse una copiosa documentazione che conteneva nomi e circostanze legati a quei traffici. In quei documenti c’erano i nomi dei faccendieri che operavano nell’ombra, dei mercanti d’armi e dei colletti bianchi che mantenevano i rapporti con gli industriali italiani. Ai tempi dell’omicidio della Alpi fu chiaro che la Somalia e altri territori dell’Africa costiera erano usati come pattumiera dell’occidente e come zona franca per i traffici illeciti. Quei documenti, come tanti altri, sparirono nel nulla. “Purtroppo” tutte le storie hanno un inizio e una fine.
Gli occhi dei media mondiali puntati in quella zona d’Africa (Etiopia, Eritrea e Somalia) resero difficile (e costoso) continuare l’invio dei veleni. Allora, come si poteva risolvere il problema? Alla risoluzione del dilemma contribuirono: la massoneria deviata (con il solito Gelli), industriali senza scrupoli, politicanti corrotti e affaristi della peggiore specie. Questi “signori” iniziarono a domandarsi quali zone d’Italia potevano essere utilizzate allo scopo. Il nord, in primis la Lombardia, non era adatto perché dopo il caso Icmesa/Diossina/Seveso lo smaltimento “dietro il cortile di casa” era diventato impossibile. E poi il nord era troppo urbanizzato per sperare nell’invisibilità delle operazioni. L’Emilia Romagna, la Toscana e le Marche erano piene di comunisti. La Sardegna e la Sicilia erano difficili da raggiungere. Gli abitanti dell’Umbria e dell’Abruzzo avevano un controllo capillare del territorio grazie all’agricoltura e al Parco nazionale. Del Lazio, esclusa la provincia di Latina, neanche a parlarne. Con Roma Capitale a due passi, il rischio che qualcuno “bene informato” potesse iniziare a ricattare i politici era troppo grosso.
Restavano le regioni ad alta densità malavitosa: la Campania con la camorra, la Puglia con la sacra corona unita e la Calabria con la ‘ndrangheta. La mafia siciliana collaborava “dall’esterno”. Così ebbe iniziò il viaggio dei veleni. Tra tutte queste regioni una in particolare spiccava sulle altre: la Campania. Due zone della Campania, poi, erano ideali per quei loschi traffici: le province di Napoli e Caserta. Quali erano i fattori che giocavano a nostro sfavore? Essere quasi al centro dell’Italia, avere un sistema autostradale e ferroviario che in poche ore poteva collegare il cuore del nord al cuore della Campania, il porto di Napoli “terra di nessuno”, la povertà di larghe fasce della popolazione, la facilità con la quale si potevano corrompere i “controllori”, l’onnipresenza della camorra, una delle organizzazioni malavitose tra le più feroci del mondo. Ultima ma non ultima, la presenza sul territorio di logge massoniche deviate tra le più perniciose d’Italia. Insomma una sorta di Eldorado per un’accozzaglia di faccendieri, malavitosi, servitori infedeli dello Stato, politicanti da strapazzo e massoni deviati senza scrupoli.
Per poche migliaia di lire (all’epoca) i contadini seppellivano la morte nei loro campi, gli autisti chiudevano gli occhi e la bocca su quello che trasportavano, chi doveva controllare si girava dall’altra parte e chi doveva reprimere era troppo sensibile al fascino del potere. L’affare era gigantesco. Pensate che ogni bidone di rifiuti seppellito nelle nostre campagne fruttava al contadino (oltre che il cancro) una somma variabile tra le 400 e le 500mila lire dell’epoca. L’industriale al posto dei due milioni di lire che sarebbero stati necessari per ogni bidone smaltito legalmente ne sborsava, invece, un terzo. Questa serie di concomitanti fattori negativi è stata la causa scatenante del biocidio. La scelta di far diventare quella che fu la Campania Felix la “Terra dei fuochi” ha origine da queste circostanze sfortunate. Siamo diventati l’immondezzaio d’Europa. Un luogo dove la vita umana è stata barattata in cambio di soldi facili. La cosa triste è che dopo tutto quello che è successo, sta accadendo e purtroppo ancora accadrà, ci sono buffoni più preoccupati del calo di vendite delle “pummarole” e delle zucchine che della vita di tanti bambini morti d’orribili tumori. A questi buffoni auguro la stessa sorte.
di UGO PERSICE PISANTI